Il Consiglio Federale Nazionale dei Verdi riunito in remoto il 22 maggio del 2021, in merito alla situazione politica valuta quanto segue.
Abbiamo ritenuto irresponsabile la caduta del governo Conte II provocata dal partito di Matteo Renzi nel momento in cui si stava preparando il piano di ripresa e resilienza che avrebbe deciso come spendere i 209 miliardi di euro, poi diventati 191,5, in un momento delicato e drammatico per l’Italia rappresentato dalla crisi sanitaria, sociale ed economica causata dalla pandemia da Covid-19.
Con grande senso di responsabilità nei confronti degli interessi del paese i Verdi hanno guardato con attenzione e speranza alla nascita del governo Draghi senza alcuna pregiudiziale ideologica, nonostante la presenza imbarazzante e ingombrante nella maggioranza di governo della Lega di Salvini, perché le elezioni anticipate in piena pandemia e con l’urgenza di consegnare il Pnrr entro il 30 aprile avrebbero rappresentato un danno per l’Italia.
La grande sfida del governo Draghi era quella di preparare un PNRR che sapesse dare risposte precise non solo alle regole volute dall’UE di destinare il 37% dei fondi europei alla transizione ecologica, ma principalmente di intervenire in settori strategici dal punto di vista industriale per accelerare il cambiamento verso il raggiungimento degli obiettivi sul clima, costruire le riforme necessarie come quella per fermare il consumo di suolo e finanziare le politiche di equità sociale.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del governo Draghi tradisce tristemente le promesse del premier di fare del recovery plan una rivoluzione verde. Il piano è costruito per proteggere i ritardi dell’industria automobilistica e l’assenza di strategie dell’industria petrolifera, che tarda e rallenta la necessaria conversione ecologica dell’economia verso la mobilità elettrica e le rinnovabili, facendo a pagare un duro prezzo all’Italia in termini di competitività industriale sui mercati globali e per il raggiungimento degli obiettivi sul clima.
Su un totale di 191,5 miliardi di euro, di cui 68,9 miliardi sono sovvenzioni e 122,6 miliardi sotto forma di prestito, il 30% del totale dei fondi sarà destinato alla transizione ecologica, ben al di sotto della percentuale del 37% indicata dalla Ue. Per fare una comparazione con altri paesi europei come la Francia e la Germania, su un totale di fondi rispettivamente assegnati pari a 41 e 27,8 miliardi di euro, i fondi destinati alla transizione ecologica sono del 49% e del 40%.
Questi sono i numeri che spiegano il Pnrr di Draghi:
1)Fondi insufficienti al trasporto pubblico: sono previsti 240 km di nuova rete attrezzata suddivisa in: a) 11 km di metropolitane, 120 km di filobus, 85 km di ? tra, e 15 km di funivie. Questi interventi, che saranno distribuiti nelle maggiori città italiane, sono sufficienti solo per una città come Roma. L’Italia dispone di 5,3 km per milione di abitanti di rete tramviaria a fronte degli 11,7 Km della Francia e i 23,3 km della Germania. Nel nostro paese abbiamo 234 km di linee metropolitane quando la sola città di Madrid ne ha 290 e la Germania 630 km. Il ritardo infrastrutturale dell’Italia nel trasporto pubblico rispetto all’Europa è pesante e questo incide sulla vivibilità delle nostre città, sull’economia e sulla salute: secondo l’ultimo report dell’Agenzia europea per l’ambiente in Italia lo smog provoca 52 mila decessi l’anno, un’emergenza sanitaria dimenticata.
2)Il Pnrr prevede l’acquisto di 53 nuovi treni regionali pari all’11,6% della flotta circolante, il piano Conte prevedeva 80 nuovi treni. È un intervento inaccettabile per le scarse risorse investite: allo stato attuale in circolazione abbiamo 456 treni regionali di cui 256 treni diesel ancora circolanti.
3)Su una flotta di 42.800 autobus circolanti in Italia, il Pnrr ne prevede la sostituzione di 5.500 pari al 12,8% del totale: la flotta italiana di autobus per il trasporto pubblico presenta un’età media notevolmente superiore alle omologhe dell’UE ed è caratterizzata da un elevato consumo di carburante e da elevati costi operativi e di manutenzione.
4) I percorsi ciclabili urbani passano da 1000 km della precedente proposta a 570 km, mentre i percorsi ciclabili turistici da 1626 km della precedente proposta a 1200 km.
5) C’è una riduzione degli investimenti su energie rinnovabili, sono previsti, fino al 2026, 4,2 GW che è una potenza installata sufficiente solo per coprire meno di un anno di crescita per raggiungere i target europei da qui al 2030: servirebbero 5-6 GW all’anno fino al 2030.
6) Il piano prevede una riduzione delle emissioni di CO2 nel 2030 per il 51%, mentre la legge sul clima approvata dall’Europa prevede il 55%.
7) L’efficienza energetica passa dai 7 mld di euro del piano Conte a 2 mld del Pnrr Draghi e su 32 mila edifici scolastici prevede risorse solo per 195 scuole.
8) Non c’è la rivoluzione verde sulla mobilità elettrica su gomma dove sono previsti solo 750 milioni di euro sulla ricarica, mentre in Germania sono stati investiti 5 miliardi di euro. La Spagna ha messo nel suo recovery plan la mobilità elettrica privata e pubblica al primo posto.
9) I fondi da destinare alla ricerca pubblica sono inconsistenti come invece richiesto con il piano Amaldi: l’ex ministro Manfredi ne prevedeva 15, ora sono 4,5 mld di euro.
10) Ci sono grossi investimenti su Idrogeno, 3,2 miliardi di euro, ma non verde, il che consente a Eni e Snam di continuare ad avere un ruolo determinante nella politica di sfruttamento degli idrocarburi.
11) La parte su economia circolare è concentrata solo su gestione dei rifiuti e non su un piano che coinvolga industrie e PMI con risorse limitate.
12) Su 25.000 km di rete idrica che perde il 41% di acqua potabile, ovvero 100.000 litri al secondo, c’è un investimento di soli 900 milioni di euro.
13) Sulla rete fognaria e sulla depurazione delle acque reflue sono previsti solo 600 milioni di euro: l’Italia ha una condanna da parte della Corte di Giustizia europea, con una sanzione di 80 mila euro al giorno, perché in alcune zone del paese – Sicilia, Calabria, Puglia, ecc. – non si depurano le acque reflue.
14) Le risorse destinate alla qualità dell’aria e alla biodiversità, attraverso la tutela delle aree verdi e marine, sono 780 milioni per tutta Italia, di cui 360 solo per la rinaturalizzazione dell’area del Po.
15) Il tema delle bonifiche dei siti inquinati è stato completamente dimenticato: solo 500 milioni di euro per i siti orfani. Sei milioni di persone vivono in siti altamente inquinati, come Taranto, Brindisi, Porto Marghera, Priolo, Gela, Milazzo, Brescia, Porto Torres, e altri territori non bonificati come la Terra dei fuochi, Valle del Sacco, Val d’Agri, e le falde inquinate del Veneto e del Piemonte da PFAS.
16) Non c’è un piano per perdita della biodiversità finanziando un programma di investimenti nelle 6 aree strategiche per la riconnessione ecologica del Paese: Alpi, Corridoio Alpi-Appennino, Valle del Po, Appennino Umbro-Marchigiano, Appennino Campano Centrale, Valle del Crati – pre-Sila Cosentina, realizzando progetti per il risanamento naturale e idrogeologico e per estendere questi interventi anche alle aree costiere e marine in corrispondenza delle zone a maggiore biodiversità e a maggiore rischio per le pressioni antropiche.
17) Nella versione definitiva del PNRR, manca un riferimento esplicito al raggiungimento degli obiettivi delle Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”, indicando la priorità dell’incremento della superficie agricola certificata in agricoltura biologica, lo sviluppo di filiere del “Made in Italy” biologiche e la creazione dei biodistretti, con priorità nelle aree naturali protette, individuando risorse e percorsi condivisi per ridurre l’uso sistematico di fertilizzanti chimici e pesticidi.
18) Sul sociale c’è una grave lacuna, perché con il piano si costruiranno 228.000 posti per i bimbi negli gli asili nido e scuole materne a fronte di un fabbisogno di 1.250.000 posti; il piano Colao prevedeva stanziamenti per coprire il 60% per un totale di 750.000 posti. Solo nel 2019 25.000 genitori, quasi tutte donne, si sono licenziati dal lavoro perché non riuscivano ad avere cura dei propri figli
Nella sezione riforme mancano obiettivi essenziali:
- non è previsto un decreto legge sul consumo di suolo, ma solo la previsione di un disegno di legge, il che significa che non verrà mai approvato.
- legge su stop immatricolazioni auto diesel e benzina, come già deciso da paesi europei come Francia, Norvegia, Gran Bretagna.
A ciò va aggiunto che il Pnrr non dà alcun accenno di modifica del PNIEC del 2019, piano nazionale integrato energia e clima, che non rispetta gli obiettivi sul clima e su cui la commissione UE è intervenuta sull’Italia per chiederne la modifica, in quanto non rispetta i limiti sul clima a partire dalla riduzione della CO2 alla produzione di energie rinnovabili.
Il PNRR tra l’altro, non tiene conto della necessità di sviluppare percorsi di partecipazione alla elaborazione delle proposte e delle eventuali obiezioni della società civile e dell’associazionismo , tenendo realmente conto dei bisogni che si sono manifestati già prima ma anche in seguito alla pandemia: casa, lavoro, servizi.
Il Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani in diverse recente interviste ha reso ancor più chiara la strategia del governo sull’attuazione del Pnrr. Per il Ministro, la mobilità elettrica avrà senso in Italia solo quando il 72% dell’elettricità sarà prodotta con zero emissioni e siccome il piano del governo prevede di raggiungere quell’obiettivo forse nel 2030, significa che, dopo decenni di gravissimi errori e ritardi sulla produzione delle auto elettriche, dovremmo aspettare altri dieci anni secondo il Governo. Questo è il motivo per cui nel Pnrr si è investito poco nella mobilità elettrica.
Dobbiamo constatare che ENI condiziona sempre e molto le politiche di modernizzazione in Italia: una società pubblica che fattura 70 miliardi di euro l’anno, che con i suoi piani industriali prevede di estrarre idrocarburi anche dopo il 2050, rappresentando un problema rispetto agli obiettivi di neutralità climatica decisa dall’Europa e che secondo il ministro Cingolani dovrà assicurarci ancora il gas per produrre energia elettrica e idrogeno, per la cui produzione sono stati stanziati nel Pnrr oltre 3 miliardi di euro.
L’assenza di trasparenza nel Pnrr la verifichiamo anche sulla politica energetica. Ad esempio, sul progetto di stoccaggio della CO2 al largo di Ravenna nei giacimenti esauriti di idrocarburi dell’ENI, il ministro Cingolani ha affermato che potrebbe essere finanziato con i fondi del Pnrr se qualcuno presenterà domanda attraverso i bandi di gara. Questo qualcuno è l’ENI, che ha già un progetto dal costo di 1,35 miliardi di euro per realizzare il deposito di CO2 più grande del mondo da 500 milioni tonnellate.
Sempre il ministro Cingolani ha aperto al nucleare da fissione, prevedendo l’apertura di una discussione per la realizzazione nel nostro paese di mini centrali nucleari da 300 MW, un vero schiaffo in faccia agli italiani che hanno votato per ben due volte in due referendum contro il nucleare, dopo le catastrofi di Chernobyl e di Fukushima.
Il ministro Cingolani in questi giorni ha anche autorizzato nuove trivellazioni nel mar Adriatico suscitando le contestazioni di pescatori e miticoltori, in un’area dove invece è stata bocciata l’autorizzazione per l’installazione di un impianto eolico offshore
Per mesi il governo Draghi ha rassicurato che il Ponte sullo stretto di Messina non sarebbe mai stato finanziato con i fondi del Pnrr, ma in realtà è stato fatto rientrare dalla finestra ciò che apparentemente era stato fatto uscire dalla porta.
Il ministro Giovannini, nei primi giorni di maggio ha inviato al Parlamento la relazione tecnica del Ministero delle infrastrutture, in realtà molto politica, che dice Sì al ponte; fatto imbarazzante, dedica su 158 pagine totali una pagina e mezza al rischio sismico, e svela il meccanismo attraverso il quale verrà finanziata l’infrastruttura che non è stata inserito nelle opere del PNRR.
Il meccanismo prevede di destinare al ponte i fondi pubblici provenienti dalle opere che sono finanziate dal PNRR, e che ora possono essere utilizzati per altri scopi; nella relazione si individuano tra gli 8-11 miliardi di euro anche se il costo dell’opera, totalmente a carico dello Stato, non viene definito.
Il governo Draghi – dopo aver costruito un recovery plan che non affronta la transizione ecologica perché sottrae risorse al trasporto pubblico, alla depurazione, alla dispersione delle reti idriche e alle energie rinnovabili – ora lavora per realizzare un’opera dall’impatto ambientale devastante continuando a ignorare le emergenze del Sud del paese.
Il Consiglio Federale nazionale dei Verdi, sulla base delle considerazioni qui esposte, esprime un giudizio negativo sul Pnrr e su gli ultimi provvedimenti succitati proposti dal governo Draghi
Il Consiglio Federale nazionale dei Verdi:
1) considerato il PNRR approvato dal governo, la relazione positiva sul ponte sullo stretto di Messina, le posizioni assunte dal ministro per la Transizione Ecologica di aprire a mini centrali nucleari e di autorizzare nuove trivellazioni ritiene che non vi siano le condizioni per un sostegno politico al governo Draghi;
2) chiede all’esecutivo nazionale dei Verdi di avviare un confronto con la componente alla Camera dei Deputati “Facciamo Eco-Federazione dei Verdi”, pur nel rispetto della reciproca autonomia politica, circa la posizione da tenere nei confronti del governo, considerato che in due distinte votazioni sui documenti del PNRR, relazione della Camera dei Deputati e piano finale ha ritenuto di doversi astenere differentemente dalla posizione assunta dalla federazione dei Verdi;
3) impegna l’Esecutivo nazionale e le Federazioni regionali ad avviare una fase di ascolto e confronto nei vari livelli, nazionali e territoriali, per illustrare il progetto politico dell’Assemblea costituente di Europa Verde, anche per aggregare in questa fase di rilancio del progetto politico ecologista nuove realtà associative e personalità;
4) esprime soddisfazione per la forte adesione ai Verdi e a Europa Verde, che ha visto considerevolmente aumentare le iscrizioni portandole a quasi 10.000;
5) auspica per l’Assemblea costituente dell’11 luglio la massima coesione interna per dare una risposta politicamente forte al bisogno che c’è nel paese di una forza Verde, civica e solidale, aprendo al confronto con il mondo ambientalista, ecologista e associativo;
6) esprime soddisfazione per l’adesione a Europa Verde dell’europarlamentare Eleonora Evi e di diversi consiglieri comunali e regionali;
7) impegna l’Esecutivo nazionale a presentare una campagna di comunicazione nazionale per le prossime elezioni amministrative di autunno, che rappresentano un passaggio politicamente rilevante per il futuro di Europa Verde in Italia. Vista l’importanza strategica delle elezioni amministrative, chiede al Tesoriere di valutare i modi e le risorse per sostenere le liste di Europa Verde nelle grandi città all’interno di un unico progetto nazionale;
8) impegna l’Esecutivo a convocarsi rapidamente anche con sedute immediatamente successive e continuative, per ascoltare i portavoce cittadini delle principali città che andranno al voto e per verificare quale supporto tecnico e politico debba essere fornito per raggiungere il miglior risultato possibile;
9) conferma l’impegno di presentare in tutte le principali città e nella regione Calabria, che andranno al voto nel prossimo autunno, liste di Europa Verde aperte alla massima inclusione e rappresentatività, nell’ambito – ove ci siano le condizioni politiche e programmatiche – del centro-sinistra, per ottenere i migliori risultati in termini di rappresentanza elettiva dell’ecologismo politico e di possibile partecipazione al governo delle rispettive amministrazioni.
10) impegna l’esecutivo ad aprire un confronto con i membri della componente parlamentare Facciamo Eco-Federazione dei Verdi in relazione alle prossime elezioni amministrative affinché ci possa essere un loro contributo diretto nella formazione e nel sostegno delle liste di Europa Verde in quanto non sono comprensibili e sostenibili scelte diverse.