O lo stato italiano decide di avviare una svolta epocale nella prevenzione dal rischio sismico o saremo, purtroppo, condannati a contare le vittime tra le popolazioni e le macerie del patrimonio storico dei comuni che rappresentano l’identità culturale del nostro paese. Considerando la particolarità dei nostri centri storici, l’Italia deve guardare per esempio a quei paesi che convivono con rischi sismici più gravi del nostro come il Giappone o la California, quanto meno dal punto di vista delle risorse investite, della legislazione e del metodo di affrontare il rischio sismico.
L’ultima manovra di stimoli fiscali all’economia approvata alcuni mesi fa dal governo giapponese prevede un budget addizionale di spesa pubblica da 4.520 miliardi di yen (circa 50 miliardi di dollari), di cui 1.960 miliardi di yen andranno a misure di prevenzione.
Lo Stato italiano, a partire dal governo, deve certamente occuparsi di ricostruire, ma deve occuparsi dei vivi, di quei paesi, del nostro patrimonio storico monumentale e delle chiese che a oggi non hanno subito gli effetti del terremoto ma che potrebbero subirli un domani. Dal 2014 la popolazione italiana che vive nelle aree di rischio è più numerosa nel nord est (1.628.513 cittadini), seguito dal sud (1.625.746), dal nord ovest (1.278.873), dal centro (1.091.483) e dalle isole (91.781).
Sono 3600 le scuole pubbliche che hanno problemi strutturali mentre 640 si trovano in zone a rischio. Per gli ospedali: 550 strutture si trovano in una zona a rischio idrogeologico e sismico. Il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni dal 1994 a oggi è di 250 miliardi di euro, circa 11 miliardi l’anno. Questi dati dopo gli ultimi drammatici eventi sismici dovrebbero indurre le autorità di governo nazionale a un cambiamento epocale e radicale nelle politiche di prevenzione sino ad oggi seguite.
Il governo può approvare un piano decennale da 8 miliardi l’anno per un totale di 80 miliardi con i quali finanziare la messa in sicurezza del territorio italiano dal rischio sismico e idrogeologico. Si tratta di fare delle scelte dal punto di vista economico e anche ambientale, abbandonando quei progetti inutili e rischiosi come per esempio il ponte sullo stretto di Messina, che sarebbe realizzato in una delle aree a più alta sismicità d’Italia, per dirottare le risorse verso un grande piano di cambiamento e di tutela delle popolazioni e della memoria storica del nostro paese: la prevenzione dal rischio sismico e idrogeologico.
Conseguentemente il parlamento dovrebbe adeguarsi a questa urgenza, istituendo una commissione bicamerale per la ricostruzione d’Italia, aperta nella sua composizione alle migliori intelligenze del nostro paese, senza alcun obbligo di essere parlamentari, che dovrà seguire giorno dopo giorno, la revisione della legislazione, l’utilizzo dei fondi e i piani di recupero a partire dai borghi e i centri storici d’Italia.
Come i nostri padri costituenti diedero vita alla nostra Costituzione oggi abbiamo urgente e storica necessità di avere una fase costituente per la ricostruzione e la tutela dell’Italia per portare nel nostro paese quello che oggi in alcuni paesi del mondo è la prevenzione dal rischio sismico.
Alcuni mesi fa l’ex deputato dei Verdi Sauro Turroni ha presentato al presidente del consiglio Renzi uno studio dal titolo “mettere in catene l’Italia” che spiega come con risorse contenute si possano fare i primi interventi di prevenzione.
In poche parole dobbiamo fermare l’industria delle catastrofi e dare il via a un grande piano legato alla prevenzione che coinvolga la nostra legislazione, le scelte economiche e l’approccio culturale agli eventi sismici del nostro paese che non può essere più quello di intervenire a tragedia consumata.
[Questo articolo è stato pubblicato sull’Huffington Post ]