6 Novembre 2018
Abusivismo: non si comincerà veramente a combatterlo se non si verificheranno gli oltre 5 milioni di domande di condono inevase e se non si controlleranno le autorizzazioni già rilasciate.
In questo periodo, dopo i crolli di Ischia e le polemiche innestatesi per la legge campana, il Pdl Falanga e il regolamento edilizio di Bagheria, tutti volti a favorire la conservazione delle abitazioni abusive e le dichiarazioni a sostegno dell’immancabile “abusivismo di necessità” noto alle cronache fin dal tempo dell’indimenticabile Monello, sindaco di Vittoria, poi promosso deputato grazie al condono, si tornano ad avanzare soluzioni per risolvere un problema endemico nel nostro Paese.
La questione si intreccia strettamente con i problemi della sicurezza degli edifici abusivi, con l’inefficienza della P.A. che lascia languire negli scantinati alcuni milioni di domanda dicondono, con l’assenza di servizi e urbanizzazioni in parti di città sorte in modo disordinato e in assenza di pianificazione, con gli interessi elettorali di amministratori e partiti.
Ciascuna delle proposte ha il limite della parzialità, come se la questione potesse risolversi semplicemente con l’inasprimento delle pene, con le demolizioni o con l’acquisizione al patrimonio pubblico degli edifici abusivi.
Tutto ciò sarebbe senza dubbio un enorme passo in avanti e forse risolverebbe per il futuro il problema abusivismo ma non ci aiuterebbe affatto nei confronti di ciò che nascondono i milioni di domande inevase e neppure di ciò che si cela dietro a quelle concluse con una autorizzazione o anche con un silenzio assenso e alcune autocertificazioni.
Gli oltre 5 milioni di pratiche non esaminate hanno assolto alla funzione di mettere nel limbo gli abusi : il proprietario li ha autodenunciati, magari ha pagato solo una piccola somma iniziale, non ha completato mai la domanda che è restata così sospesa, nè accolta nè rigettata, mettendosi al riparo di eventuali procedimenti.
Questo è stato un metodo utile per coloro che hanno un immobile che non potrà essere in alcun modo sanato, o per il luogo dove è stato realizzato, o per le carenze strutturali, statiche, igieniche ecc. dell’edificio.
E’ quello che le cronache hanno messo in evidenza a proposito del crollo di Casamicciola che ha coinvolto i 3 fratellini : infatti il proprietario ha detto di avere presentato la domanda dicondono come se questa di per sè fosse in grado di rendere sicura una abitazione.
Va esternalizzata l’attività istruttoria delle pratiche di condono edilizio, prevedendo la costituzione di società di professionisti, a cui sia inibita ogni altra attività, che prestano la loro opera al fine di controllare, istruire i progetti, acquisire tutti i pareri dei diversi organi che hanno competenza in materia, di stabilire che le opere sono sanabili, oppure che devono essere inesorabilmente demolite.
Queste società potrebbero essere vigilate o per lo meno sottoposte al controllo di una struttura centralizzata unica collocata magari nella sfera di competenza della Presidenza del Consiglio, comunque sottratte ai poteri locali.
A queste società indipendenti e terze dovrebbe essere affidata quindi tutta la pregressa attività istruttoria dei milioni di pratiche di condono inevase, remunerandole con i medesimi diritti e oneri previsti per il rilascio dei titoli abilitativi edilizi, come disciplinati dalle Amministrazioni comunali per le medesime fattispecie di opere edilizie, anche applicando un loro incremento per garantire i sopralluoghi, i controlli e le verifiche sul posto.
In questo modo, in tempi se non rapidi ma almeno accettabili, si potrebbe avere un quadro preciso della situazione dei milioni di edifici abusivi di cui nulla si conosce e le cui pratiche giacciono ad ammuffire negli scantinati dei comuni.
Nello stesso tempo si avrebbe la precisa conoscenza, almeno per gli edifici relativi ai 5 e più milioni di pratiche di condono giacenti, di quelli non sanabili in alcun modo, di quelli privi dei necessari requisiti di capacità di resistenza ai sismi, di quelli posti in zone fragili o inedificabili o prive di urbanizzazioni e servizi ecc., e ciò consentirebbe di adottare misure e interventi non ispirati “dal sentimento” come pare accadere ora ma frutto di una strategia avente una visione e una conoscenza complessiva del problema.
Questo comporterebbe alcuni benefici : occupazionali per alcune migliaia di giovani tecnici, di sgravio e semplificazione per le Amministrazioni che eviterebbero di doversi sobbarcare i problemi più onerosi e difficili, di certezza per tutti i cittadini di ricevere identico trattamento in tempi adeguati e accettabili.
Si saprebbe cosa dovrà essere inevitabilmente demolito e ciò che potrà essere acquisito al patrimonio pubblico e utilizzato secondo gli scopi che la PA potrà scegliere sulla base dei criteri già stabiliti dal Dlgs 380/01 e perfino di ciò che può essere condonato secondo quanto previsto dalla legge 47/85. Ma dopo, a verifiche fatte e soprattutto fatte da altri.
Un ulteriore verifica dovrà necessariamente riguardare tutti gli edifici fin qui condonati. Non è chiaro come ciò sia avvenuto, se siano principalmente garantiti i requisiti di sicurezza necessari in zona sismica e anche nelle zone interessate da fenomeni di dissesto, in aree vicine ai fiumi e alle coste.
Questa attività che reputiamo assolutamente necessaria, essendo state troppo larghe le maglie dei controlli e troppo diffusi il silenzio assenso e le autocertificazioni, potrebbe essere compiuta utilizzando per la verifica della capacità di resistenza ai sisma, i metodi e la procedure per la valutazione della vulnerabilità sismica degli edifici basata sulle schede Aedes utilizzate negli ultimi terremoti.
Si avrebbe un quadro certo della situazione complessiva dell’edificato condonato e ciò consentirebbe l’avvio di politiche di livello territoriale, fondate su elementi fondamentali di conoscenza e con costi iniziali modesti e accettabili. Si inizierebbe così una reale politica di prevenzione, indirizzando gli interventi futuri a ciò che non risponde ad un livello minimo di requisiti di sicurezza.
Si eliminerebbe così dalla discussione anche un fantasma che riappare puntualmente ad ogni catastrofe: il salvifico “fascicolo di fabbricato”, un nuovo e costosissimo balzello, non a caso invocato dalla lobby dei tecnici, che obbligherebbe tutti a dotarsi di un nuovo certificato la cui utilità ai fini dell’interesse generale e della sicurezza è tutta da dimostrare, non essendo certo terzo rispetto al costruttore o al proprietario colui che avrebbe l’incarico di redigerlo.