Vi riportiamo alcuni passi fondamentali dell’intervista a Giobbe Covatta realizzata da Christian Dalenz per L’Espresso.
Queste parole sono da intendersi anche come un’ennesima, palese, smentita delle “bufale” con le false citazioni di Giobbe che sono tornate a circolare sul web.
Questo articolo è uscito su L’Espresso (qui l’intervista completa di Christian Dalenz a Giobbe Covatta)
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Si definisce “buonista”?
La parola “buonista” è diventata di moda solo negli ultimi anni. Ormai sembra quasi che essere buoni sia una cattiveria. Io non è che sono buono, sono solo uno che crede nella giustizia. E credo che le situazioni africane siano ingiuste, per motivi storici. Ma ormai c’è totale mancanza di memoria. E nessuno si chiede più il perché delle cose. Da bambini ci si chiedeva perché esistono le nuvole, i grandi non lo fanno più. Figurati se ci si chiede il perché delle guerre. Non chiederselo porta all’ignoranza sul tema che vediamo oggi”.
Cosa non si racconta oggi delle migrazioni, e come andrebbe affrontata la comunicazione su questo tema?
«In primo luogo si parla troppo di “invasioni”. In tutta l’Europa i rifugiati sono il 6 per cento, e in Italia il numero è ancora più ridicolo (2,4 per cento secondo l’Unhcr, ndr). Sarebbe bello piuttosto raccontare qualcosa sulle persone che vengono da noi.
E la storia dovrebbe cominciare parlando del Paese da cui parte il migrante. Perché la maggior parte della gente, se chiedessimo dove si trovano il Mali o il Burkina Faso, non saprebbe proprio rispondere. Già anni fa durante la crisi del Biafra non si sapeva nulla di quella zona. […]
Secondo lei le Ong che salvano i migranti sono “vicescafisti” come dice Salvini e “taxisti del mare” come dice Di Maio?
«Sono polemiche prive di supporto logico. Come si fa a chiamare vicescafista un volontario che salva vite? Quante condanne hanno avuto le Ong? Nemmeno una. Se qualcuno ci marcia è nelle istituzioni, non certo nelle Ong. Magari i farabutti ci sono, ma in accordo col ministero degli Interni! Basta seguire il corso del denaro per trovare il figlio di puttana che sta rubando. Qualcosa che mi puzza nel mondo del volontariato l’ho anche trovato e ho anche detto quello che dovevo dire a chi mi puzzava. Ma non mi viene assolutamente voglia di generalizzare».
Però oggi la maggioranza degli italiani la pensa come Di Maio e Salvini. O anche peggio. Eravamo un popolo di emigrati e accogliente, meno di 30 anni fa accoglievamo gli albanesi nelle nostre case. Ora siamo diventati gente rabbiosa, che sui social si augura la morte di chi attraversa il Mediterraneo…Cos’è successo? E chi ne ha più responsabilità?
«Penso sia colpa dell’informazione distorta, ma non quella ufficiale. Parlo di quella boschiva, quella su internet. Umberto Eco ricordava che in rete un premio Nobel e un idiota totale hanno lo stesso peso, e questo è un problema. C’è un clima fortemente individualista, è finito il “noi”, c’è solo l’”io”. Eppure noi, diversamente dall’80 per cento del resto del pianeta, viviamo nella parte del mondo benestante. Il sottoproletariato di una volta (fabbriche e campi) non c’è più, si è trasformato in quelli che vengono da noi senza diritti, voce e visibilità. E noi, con la nostra mentalità piccolo-borghese, ci comportiamo con loro come la borghesia della prima rivoluzione industriale con i poveri di allora.
Poi è anche colpa di una logica di mercato che si è spostata verso la totale inutilità, verso esigenze assolutamente inventate. Ci siamo spostati verso consumi del tutto futili che ci hanno instupidito. Il mercato ci porta verso dinamiche sbagliate come quelle dell’obsolescenza programmata e dei combustili fossili. Il problema del petrolio andrebbe risolto anche perché l’Africa sarebbe senza debiti se non ne acquistasse, e ne comprano a strafottere. Le energie rinnovabili potrebbero essere il futuro del continente».
Lei come la definirebbe questa ondata emotiva rabbiosa? Razzismo? xenofobia? Stupidità? Cecità? O altro?
«Io lo definirei razzismo, che sostanzialmente è legato al classismo, come spiegavo. Siamo spaventati dai poveri. Quando li guardiamo non pensiamo ad aiutarli indipendentemente da dove provengano. Vediamo solo un disperato e giriamo al largo. Strano. Per gli italiani una volta l’ospite era sacro. Ora invece c’è questo atteggiamento da piccolo-borghesi che, in preda al panico, hanno paura di essere contagiati da quel povero proveniente da un altro Paese».
Come possiamo porre rimedio a questo razzismo? Secondo lei si può rovesciare questa egemonia culturale antibuonista cioè “stronzista”? E se sì, come?
«Una domanda che ci si poneva anche 80-90 anni fa, quando c’erano le camicie nere. Anche allora ci si chiedeva come invertire la tendenza. Penso la questione si possa risolvere con l’informazione, invitando a non smettere di porsi e porre domande. Dialogando, con la forza delle idee. E tutto questo deve transitare per i luoghi preposti perché questo accada, ovvero la scuola, i giornali, le televisioni. Ma se questi presidi sono dominati dal razzismo e non dalla libertà, finisce la possibilità di crescita. Così rischiamo di finire in Turchia o in Ungheria. Più elimini i momenti di confronto e più le cose peggiorano».
Che ne pensa del comportamento del governo italiano in merito al caso Aquarius?
«Mi vergogno come un ladro. Mi mette a disagio pensare che il mio Paese possa fare cose del genere. Il comportamento di chi non fa entrare navi in Italia con 130 bambini a bordo è grave quanto quello di chi va in Africa a commettere atti di pedofilia. Eventuali critiche all’Europa sulla gestione delle migrazioni non possono passare sulla loro pelle di quelle persone».
Ha paura delle politiche migratorie che il governo Conte potrebbe mettere in atto d’ora in avanti, in particolare di quelle del ministro Salvini?
«Mi preoccupano, in effetti. Mi spaventa l’idea che il popolo condivida certe posizioni. Non perché penso che possa succedere qualcosa a me in particolare, ma perché mi spaventa l’idea che possiamo finire a vivere in un paese fascista. Mi spaventa che qualcuno possa decidere chi può e chi non può stare in Italia e avere diritti. Nessun eletto dovrebbe arrogarsi questo tipo di scelte».
Nel M5s, che contiene al suo interno diverse anime, qualcuno (come Fico) storce il naso di fronte alle esibizioni muscolari xenofobe di Salvini. Però per ora questi “dissidenti” si espongono poco. Crede che sia possibile appellarsi alla parte migliore del M5s o pensa che sia inutile, perché tanto obbediscono come in una setta? Come valuta in generale il movimento fondato da Grillo e Casaleggio?
«Storcono il naso ma poco altro. Ormai hanno messo il culo là sopra e non credo vogliano rialzarlo. Non ho idea se possano cambiare. Mandare a fanculo la gente è la cosa più facile che si può fare. Se poi però vai al potere e dai fuoco a tutto, forse avevi detto solo cazzate fino a quel momento. Io non sono d’accordo per esempio contro il limite di legislature. Per me la politica non solo è un mestiere, ma è il mestiere più difficile del mondo. Pensi a Berlinguer, a Moro, mica facevano i salumieri. Lo statista non pensa alle prossime elezioni, ma alle prossime generazioni. L’elettorato grillino invece penso che non solo potrebbe essere recuperato, ma che dovrebbe essere riportato verso un’ambito di politica organizzata, culturalmente più strutturata».
[…]
Esempi di integrazione riuscita in Italia ne esistono, se pensiamo al caso di Riace. Quali potrebbero essere le politiche migliori da attuare in merito all’integrazione delle diverse culture nel nostro Paese, più in generale?
«L’ultima volta che hanno chiesto a un comico di dare soluzioni ai problemi, è andata così così…. tocca ai politici prescrivere terapie. Le diagnosi però possono anche spettare ai comici; mi permetto di prendermi questa responsabilità».