La sfida del tempo di Amitav Ghosh
Oggi il futuro dipende dal clima
Ma la politica fa finta di nulla
L’ anno 2017 ci ha già consegnato una lunghissima e drammatica lista di disastri ambientali: siccità prolungate in molte parti del mondo; alluvioni devastanti in India; incendi furibondi sulla costa occidentale dell’America del Nord, in Europa meridionale e persino in Groenlandia; bombe d’acqua spaventose come quelle che hanno traumatizzato Mumbai e Livorno a settembre; e per di più, tre uragani successivi che hanno polverizzato tutti i record precedenti per la loro forza devastante: Harvey, Irma e Maria.
Certo, non è sempre possibile decifrare se tutti questi eventi portano il marchio dei cambiamenti climatici generati dall’attività umana, eppure i danni che essi infliggono sono talmente enormi, e le immagini, subito trasmesse nel mondo, appaiono talmente sconvolgenti che il minimo sospetto di un simile collegamento dovrebbe logicamente bastare a spingere subito l’alterazione del clima in cima all’agenda internazionale.
La situazione attuale, invece, si trascina da molto tempo. Ogni anno si raccolgono dati sempre più evidenti del progressivo aumento della temperatura media del globo e dell’impatto sempre maggiore dei cambiamenti climatici che ne risultano. Eppure, anziché adottare le misure necessarie per ridurre le temperature, il mondo sembra procedere in senso opposto. Da più parti vengono rimessi in discussione gli accordi sul clima siglati a Parigi; il governo Trump, anzi, ha fatto marcia indietro sugli interventi di riduzione delle emissioni; e molte testate internazionali hanno tagliato inchieste e reportage sul clima; il «negazionismo» climatico oggi si fa strada su più fronti e assume nuove forme. Non appare meno sorprendente il fatto che i movimenti verdi in Europa, fino a qualche decennio or sono in marcata ascesa, oggi appaiono spenti e inerti in tutto il continente. In alcuni Paesi il dibattito sui cambiamenti climatici fa segnare addirittura un declino nella classifica delle preoccupazioni della gente.
Se tutto questo appare incomprensibile, la causa è da ricercarsi nella sfera politica, oggi più ingombrante ed intrusiva che mai. Ciò è dovuto in larga parte all’evoluzione della tecnologia delle comunicazioni: i media digitali quasi ci impediscono di sfuggire al frastuono di voci contrastanti; non passa giorno che non ci venga chiesto di ri-postare o ri-twittare o firmare qualche petizione o iniziativa. Eppure, stranamente, l’intensificarsi dell’attività politica non ha portato a un maggior impegno e coinvolgimento del pubblico per affrontare quella che appare ormai, senza ombra di dubbio, la principale minaccia dell’umanità: il cambiamento del clima.
In nessun luogo questo divario appare più inquietante come in India, che molto probabilmente sarà uno dei Paesi più gravemente colpiti del Pianeta. Nel corso degli ultimi due decenni, man mano che la televisione è penetrata persino nelle zone più sperdute, la popolazione indiana si è appassionata alla politica. Milioni di persone scendono regolarmente in strada per manifestare, che si tratti di scandali religiosi o di corruzione. Eppure, sorprendentemente, la minaccia dei cambiamenti climatici non è percepita come un grave problema politico nel Paese.
Quello che è vero per l’India è vero anche per Pakistan, Bangladesh e Nepal: nemmeno in questi Paesi il riscaldamento globale è entrato in modo clamoroso nell’agenda politica, benché il suo impatto devastante cominci a farsi sentire in tutto il subcontinente indiano, non solo nell’accavallarsi degli eventi catastrofici su larga scala, ma anche, e forse in modo più significativo, prendendo la forma di una lenta calamità che avanza in sordina, distruggendo inesorabilmente i mezzi di sostentamento della popolazione e rinfocolando i conflitti sociali e politici.
Per quanto strano possa apparire, nulla di tutto questo è anomalo: in India, come altrove, sembra che l’allargamento della sfera politica abbia stimolato un interesse sempre maggiore per le tematiche a sfondo individualistico, come libertà personali, uguaglianza, identità, libertà di parola, e via dicendo, per relegare in secondo piano tutto ciò che riguarda il benessere collettivo. In altre parole, nell’invadere la nostra vita privata, la sfera politica si è essa stessa trasformata in modo tale da rendere molto difficile il confronto su istanze di lungo periodo, ancorché esse riguardino l’esigenza umana più elementare: la sopravvivenza. Che i nostri sistemi politici abbiano fallito miseramente in questo contesto è già stato osservato da molti. Eppure, lo stesso potrebbe dirsi dei media, e anche dell’arte e della letteratura, che si dimostrano incapaci di affrontare adeguatamente la nostra crisi collettiva.
Tutto ciò fa intuire che ci troviamo sull’orlo di una crisi di civiltà, che si estende a ogni aspetto delle modalità contemporanee di pensiero, ragionamento e immaginazione. Questo spiega forse perché i leader che più di altri sembrano consapevoli delle sfide che assillano l’umanità non sono i politici, bensì figure come il Dalai Lama, il patriarca Bartolomeo e, soprattutto, papa Francesco.
[Articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 28/9/2017]