Per “Il Fatto Quotidiano”, il commento di Elena Grandi sui risultati elettorali di Europa Verde alle ultime elezioni europee
Un miracolo, ecco che cos’è stato. Un miracolo a costo zero, abbiamo speso 30mila euro per la campagna elettorale in tutta Italia, sfidando l’ostracismo dei media salvo poche lodevoli eccezioni, e il pregiudizio dei molti che ci credevano ininfluenti o scomparsi dalla ribalta. Per non parlare di tutta la retorica del voto utile che si è abbattuta su di noi e sui risultati elettorali. Dimentichi che si votava per il Parlamento europeo, dove l’European Green party ha ottenuto uno straordinario successo con un programma sottoscritto da tutti i Partiti Verdi europei e quindi anche da Europa Verde. Per non parlare degli inviti a unità impossibili (“perché non vi siete accordati con Emma Bonino e La sinistra?”, ci chiedono adesso), spesso recapitati a urne chiuse. Ma tant’è, guardiamo avanti. Guardiamo a casa nostra, che ci attendono sfide impegnative.
I dati sui risultati elettorali
Le cifre parlano chiaro: nel 2014 la lista GreenItalia/Verdi prese circa 250mila voti. Oggi, con Europa Verde, siamo a 621.492. Che altro aggiungere? Un ottimo risultato, ottenuto in circostanze difficili e sventolando le ragioni dei Verdi europei, che sono poi le nostre. Se ne farà una ragione anche Carlo Calenda che, in un’intervista a La Repubblica, ci chiama in causa dicendosi disponibile a un’alleanza di governo con noi. Bene, direte voi. E no, troppo facile: lui l’alleanza la vorrebbe fare con i Verdi “che non possono essere quelli italiani, ma devono diventare una forza che affronta il tema ambientale come tema dello sviluppo. I nostri Verdi”, continua il novello Bonaparte, “dicono no a tutto, sono un Movimento 5 stelle in piccolo”.
Ricapitolando: Calenda ci invita a tavola solo se cambiamo look, questo non gli piace. O ci mettiamo la giacca delle grandi occasioni o non se ne fa nulla. I Verdi tedeschi gli garbano di più? Sappia che abbiamo lo stesso programma e che siamo tutt’uno con loro (questa coesione manca ancora nell’elettorato, ma non sarà sempre così); e che per questo i Verdi, così come i loro compagni europei, lavoreranno al loro rafforzamento sui territori nella prospettiva di una presenza autonoma alle prossime Elezioni politiche. Sappia che i Verdi sono quelli dei Sì: alle energie rinnovabile e all’efficientamento energetico, al lavoro green che creerebbe 400mila nuovi posti di lavoro, alla messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico, ai treni veloci per il sud, al trasporto locale su ferro, alla mobilità sostenibile. Vedremo.
Le contraddizioni di Calenda
Strano personaggio, Calenda. Un giovane nato vecchio, con la testa perennemente rivolta al Novecento e alle sue magnifiche sorti, un fordista fuori tempo massimo, un fan della cultura liberale che spesso vuol dire tutto e più spesso niente. A Calenda continua a piacere, questo sì, l’economia insostenibile, quella che partorisce veleni, iniquità, migrazioni selvagge, morte (tanto per dire: è lui che ha introdotto l’immunità penale per l’Ilva con il dl 98/2016). Noi abbiamo scelto, ne siamo fieri, un’altra strada, che mette insieme salute e lavoro.
Da questo momento in poi, archiviate le elezioni e le polemiche con Calenda, ci batteremo con maggior forza e vigore per gli incentivi alle rinnovabili, per sviluppare l’economia circolare (la gestione dei rifiuti, per dire un aspetto, conta 5mila imprese che occupano 120mila dipendenti e fatturano diverse decine di miliardi). Se il governo avesse messo sul piatto sette miliardi in green economy ci sarebbero stati 14 miliardi di investimenti privati e sarebbero stati creati 400mila posti di lavoro ogni anno, lo ripeterò fino allo sfinimento. Sto parlando di studi economici poggiati su solide previsioni.
Dalla parte dell’economia sostenibile
L’economia sostenibile, quella che mette al centro l’ambiente, produce lavoro: mettere in sicurezza il territorio crea occupazione, benessere e risparmi alla collettività. Alcune cifre: l’Italia, con le sue 620.808 frane che ricadono su un’area di 23.700 chilometri quadrati (pari al 7,9% del territorio nazionale) è uno dei Paesi europei più colpiti da questo fenomeno. Il 91% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico e oltre tre milioni di famiglie vivono in territori classificati ad alta pericolosità per frane e alluvioni. Non sarebbe il caso di fare qualcosa? E fare qualcosa non produrrebbe lavoro?
A questo governo non faremo sconti: continueremo, nelle sedi opportune, la nostra battaglia per fermare la follia del petrolio abolendo i 19 miliardi di sussidi statali alle energie fossili. Un aiuto insensato e già obsoleto. Continueremo a vigilare sulle norme sui fanghi da depurazione, inserite nel decreto Genova, con cui l’esecutivo ha innalzato i limiti di concentrazione di sostanze pericolosissime come idrocarburi, diossine e Pcb negli scarti di lavorazione del processo di epurazione, riutilizzabili poi in agricoltura come concimi.
Articolo originale su “Il Fatto Quotidiano” pubblicato il 31/05/2019