La versione di Joschka

Il contributo di Giovanni Rodini che ci racconta una storia su un'importante leade europea
la versione di Joschka

Il pomeriggio era ormai inoltrato, quando alla televisione una conferenza stampa aveva annunciato che, con effetto immediato, sarebbe stato possibile attraversare liberamente il confine. La notizia era rimbalzata confusa, di abitazione in abitazione, fino a riversarsi sonora in ogni quartiere di Berlino. Est e Ovest stavano per riunirsi e una folla festosa e incredula si accalcava per le strade ammucchiandosi davanti ai checkpoint.
Nell’incredibile ressa di quella notte, qualcuno diede ordine ai soldati che ancora sorvegliavano il perimetro di ritirarsi e migliaia di persone scavalcarono il muro per riabbracciarsi dopo quasi trent’anni anni di separazione.
In quella sera del 9 Novembre 1989, tra la folla si aggirava anche una giovane donna. Era nata ad Amburgo, figlia di un pastore protestante che si era trasferito a Berlino Est proprio mentre oltre duecentomila persone si spostavano di corsa a occidente per scappare dal regime comunista. Studentessa modello, dopo la laurea in fisica, aveva discusso una tesi dottorale sulla chimica quantistica mentre iniziava a lavorare presso l’Accademia delle Scienze di Berlino Est. Tra decine di altri colleghi maschi era l’unica donna a lavorare presso l’Accademia come scienziata.

A parte il suo curriculum impressionante, non c’era alcun motivo per cui qualcuno la potesse riconoscere tra quella calca festosa che cantava e danzava davanti alla Brandenburger Tor.
Invero Angela Dorothea Kasner non aveva fatto molto per poter assaporare quella vittoria, niente che le permettesse di sognare un ruolo chiave nella Germania nuovamente unificata. “Mentre la Wende, ossia la svolta politica che condusse alla caduta del muro e alla riunificazione delle due Germanie, incalzava inarrestabile, lei continuava come se niente fosse i suoi studi di fisica quantistica. Non era tra gli intellettuali che criticavano il regime, né tra gli scrittori che hanno condannato la repressione poliziesca, né tra gli evangelisti che hanno reclamato più diritti, né tra i giovani attivisti” che hanno lottato per veder franare il muro.

Molti anni dopo, oramai diventata Merkel, avendo conservato il cognome del suo primo marito, quando si troverà a ricordare quella storica notte, come se si fosse trovata lì per puro caso, nient’altro che un ramoscello trascinato dalla corrente, lei dirà: “Ho incontrato delle persone e a un certo punto eravamo seduti tutti quanti in un appartamento di un’altra famiglia di Berlino Ovest e da qui ho anche potuto fare una telefonata. Quelli con cui ero volevano poi andare al Kurfürstendamm, ma io ho preferito tornarmene a casa. Sapete, dovevo alzarmi presto per andare al lavoro”. Il dovere per il dovere, alla maniera Kantiana!
Da qualche altra parte, nel 1985, un giovane uomo si apprestava a giurare come Ministro dell’ambiente e dell’energia nella regione dell’Assia. Indossava scarpe da ginnastica ed era un protestante, non per religione ma per vocazione. Altro che starsene ai margini delle folle e dei cortei. Per diversi anni, Joschka Fischer era stato uno dei motori del ‘68 tedesco. Ma “der Turnschuh-Minister” è diventato col tempo un politico di primissimo piano. Un uomo capace di far crescere i Grünen, portando il suo partito fino al Governo nazionale. Dal 1998 al 2005, Fischer è stato Vice Cancelliere e Ministro federale degli affari esteri della Repubblica Federale di Germania nei due governi del Cancelliere Schröder.

I rapporti tra l’attuale cancelliera e il leader storico dei Grünen non è sempre stato idilliaco. Non molto tempo fa, nel 2015, Fischer ha licenziato alle stampe il suo Scheiter Europa? (pubblicato in Italia con il titolo Se l’Europa fallisce?), che è in buona sostanza un durissimo atto di accusa contro la Cancelliera. Tra quelle pagine l’autore la aveva accusata di aver accelerato il disastro finanziario che ancora patiamo, avendo la Merkel rifiutato una soluzione comune sin dall’inizio, inaugurando il pericoloso paradigma dell’ognun per sé.

Nello stesso testo, e in molte altre occasioni, Fischer ha accusato il suo Paese di avere la memoria troppo corta, dimenticando con troppa leggerezza come la Conferenza di Londra del 1952 abbonò tutti i debiti al suo popolo. Una remissione globale senza la quale la Germania “non si sarebbe ripresa e non avremmo avuto il miracolo economico”.
Un’altra freccia all’indirizzo della Merkel, Fischer la scocca usando un arco ancora più offensivo e scaglia una critica personale puntando dritto all’indecisione dimostrata dalla Cancelliera quando all’inizio della crisi aveva “delegato” alla BCE l’onere del salvataggio dell’Euro e di riflesso di tutta l’Unione. “Nè Schmidt, né Kohl sarebbero stati tanto impreparati”, anzi, “avrebbero approfittato dell’impasse per fare un altro passo verso l’integrazione europea”.

Insomma, a dar retta a Fischer, sembrava quasi che la locomotiva tedesca avesse vagoni degni dei treni per i deportati.
Ma qualcosa è recentemente cambiato. Poche settimane fa, intervistato da Stern, il leader storico dei Grünen ha ripercorso diversi eventi della sua vita privata e della sua lunga carriera politica. Quando il giornalista gli ha chiesto un giudizio sull’operato della cancelliera, all’indomani dell’inizio del suo quarto mandato, Fischer ha definito la Merkel “una fortuna per il paese”. “Ha imparato molto nel corso degli anni”, ha aggiunto.

Tutto questo non cancella le critiche del passato, ma ben rappresenta l’opinione che la maggior parte dei tedeschi hanno della loro cancelliera. Si può criticare Angela Merkel per molti motivi, ma va riconosciuto che nonostante la crisi globale e le sfide imposte dalla globalizzazione dei mercati, la Germania resta saldamente la prima economia europea.
Il merito non sarà tutto suo, ma non vi è dubbio che attualmente nessun altro politico tedesco sarebbe in grado di prendere il suo posto. Preparazione, concretezza e prestigio internazionale, non sono doti che vengono riconosciuti a tutti. Ne sa qualcosa Martin Schulz, che ha sfidato frontalmente la Merkel finendo per rassegnare le dimissioni a seguito di una sconfitta davvero impietosa.

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