È passato un anno dalla morte di Sandro Boato, il 3 dicembre 2019, dopo trent’anni di sempre più difficile esperienza con quel suo Parkinson, che lo aveva cominciato ad aggredire fin dal 1989, quand’era ancora consigliere provinciale e regionale. Eppure sono stati trent’anni che lui ha continuato a vivere sia nell’impegno politico e civile, sia nel lavoro letterario.
E soprattutto nell’amore incondizionato per la poesia.
La sua formazione era quella dell’architetto e particolarmente dell’urbanista (iniziata con Bruno Kessler e Giuseppe Samonà nell’elaborazione del primo Piano urbanistico provinciale degli anni ’60) , il suo impegno politico e civile lo aveva espresso già nei comitati di quartiere degli anni ’70 del secolo scorso a Trento, poi nella “Nuova sinistra” con Sandro Canestrini ed Alexander Langer e quindi nella sua attività, fin dalle origini, con i Verdi, dapprima a livello istituzionale (Provincia e Comune) e sempre nella società civile.
Nel 2008 aveva pubblicato un libro storico-letterario – «Frammenti d’Italia. Prima e dopo il Sessantotto» –, dedicato, oltre che alla moglie Odilia, anche “alla memoria di Livia Battisti”, di cui era stato amico e che non aveva mai dimenticata. Ma prima, nel 1988, aveva pubblicato da ambientalista «Parchi e riserve naturali del Trentino» (insieme ad Attilio Arrighetti e Fabio Osti), nel 2002 «Il parco naturale come modello di sviluppo sostenibile», e nel 2007 il suo libro più segnatamente ecologista, «Proteggere la Terra dagli umani?». Sandro Boato aveva avuto, tuttavia, nell’arco di quasi sessant’anni una vocazione nascosta, quella della poesia, con la pubblicazione, dal 1996 in poi, di una serie di volumetti, a diffusione ridotta, che comprendevano di volta in volta la raccolta delle sue poesie, in italiano, veneziano e trentino. Dopo averci lavorato per anni, nel 2011 aveva pubblicato due volumi monografici della rivista “In forma di parole” (diretta da Gianni Scalia a Bologna), contenenti una duplice antologia di «Poesia del Novecento euro-occidentale e americana», con sue traduzioni (e testo a fronte) dall’inglese, dallo spagnolo e dal portoghese.
Tale era il suo amore quasi nascosto per la poesia, che personalmente gli proposi, due anni prima della sua morte, di raccoglierle tutte in forma sistematica, per pubblicarle finalmente in un volume unico con una casa editrice. Ci ha lavorato a lungo, insieme a sua moglie Odilia, in un periodo in cui la sua malattia lo stava ormai tormentando in modo sempre più pesante. Quando il lavoro di raccolta e sistemazione era finalmente ormai compiuto, con sua grande soddisfazione, la morte è arrivata purtroppo per l’appuntamento finale prima della ormai possibile pubblicazione.
Dopo la sua morte, in mesi difficili per il lockdown, ho riunito tutte le molte testimonianze giornalistiche su di lui, ed anche i testi della celebrazione liturgica con don Marcello Farina, pubblicando a metà di quest’anno un libro intitolato «Sandro Boato. In memoria di un Verde ecologista, urbanista e poeta». Ne è venuta una raccolta ricca di innumerevoli articoli e delle interviste a molte personalità che lo avevano conosciuto, comparse sui quotidiani locali, ma anche su settimanali e periodici, che a loro volta hanno recensito con attenzione e cura il libro. Negli stessi mesi del lockdown, grazie alla pronta disponibilità della editrice Morcelliana di Brescia, la moglie Odilia Zotta quale scrupolosa curatrice ed il prof. Gianni Menestrina, per la complessa fotocomposizione, hanno reso possibile la pubblicazione del grosso volume (quasi quattrocento pagine) con tutte le poesie di Sandro Boato, intitolato con un suo verso veneziano «Là dove core el me pensier in fuga». Il libro si apre con una commossa prefazione di Adriano Sofri e con una rigorosa introduzione critico-letteraria di Giuseppe Colangelo, oltre che con una postfazione di Brunilde Neroni, e le varie sezioni sono accompagnate da decine di immagini del figlio pittore, Matteo Boato.
Ha scritto Adriano Sofri: «Sandro Boato si è dedicato a molte cose, e le ha prese tutte sul serio: del resto, erano legate, la cura per la vita comune nella città (la politica, alla lettera), il rispetto e l’amore per l’ambiente naturale, una premura religiosa e realista per la pace». Giuseppe Colangelo ha scritto inoltre: «Siamo in presenza di un poeta plurilingue, che per la sua ricerca ha utilizzato liberamente vari idiomi, lasciandosi guidare solo dalle sue esigenze espressive e sempre dalla passione per la parola poetica». E ancora, in fine: «lo credo che il senso ultimo del percorso creativo di Boato non vada ricercato in mode poetiche o in allineamenti ideologici, quanto invece nel suo essere rimasto fedele, con puntigliosa coerenza, a una immagine di poesia umana, sociale e stilisticamente asciutta, che ne fa una voce sicura, riconoscibile e autentica».
Ad un anno dalla sua morte, ringrazio “l’Adige” di avermi consentito di rinnovare la memoria di mio fratello, Sandro Boato, a cui sono stato legato per tutta la mia vita.