Mobilità sostenibile: la sfida strategica del trasporto nelle aree metropolitane

Il concetto di “mobilità sostenibile” ricorre frequentemente nella convegnistica, ma risulta scarsamente praticato nella realtà, a qualunque livello istituzionale, come dimostrano i procedimenti in corso da parte dell’UE nei...

Il concetto di “mobilità sostenibile” ricorre frequentemente nella convegnistica, ma risulta scarsamente praticato nella realtà, a qualunque livello istituzionale, come dimostrano i procedimenti in corso da parte dell’UE nei confronti dell’Italia per i livelli di inquinamento atmosferico presenti nel nostro Paese e, soprattutto, nel bacino territoriale della Pianura Padana.

Per cercare di tradurre il concetto astratto di “mobilità sostenibile” da slogan a pratica e azione politica concreta, occorre fare chiarezza sulla situazione attuale della domanda effettiva di mobilità esistente oggi in Italia e delle risposte che ad essa vengono – o non vengono – date.

Riassumo per punti:

1)La prevalente domanda di mobilità (passeggeri, ma anche merci) si sviluppa a breve e medio raggio: i grandi volumi di traffico sono un problema metropolitano e regionale;

2) I maggiori problemi di congestione si concentrano nell’accesso (automobilistico)

alle città grandi (Milano, Torino, Bologna…) ma ormai il fenomeno riguarda anche le città di medie dimensioni (Bergamo, Parma, Udine…)

3) La crescita del traffico è legata soprattutto al tendenziale incremento delle distanze medie percorse, generato dai fenomeni di dispersione urbana, che interessano una vasta parte del territorio nazionale del territorio (coinvolgendo la maggioranza degli abitanti). Il Veneto è un caso-scuola di dispersione degli insediamenti sul territorio: un modello urbanistico che ha, come conseguenza, l’uso del mezzo di trasporto privato come strumento insostituibile per qualunque spostamento (con tutte le conseguenze economiche e ambientali).

Nelle aree soggette allo sprawl (dispersione urbana) i servizi di trasporto pubblico sono debolissimi (<5% della domanda) e sono configurati in modo tale da non costituire una risposta adeguata nemmeno dal punto di vista della sostenibilità ambientale (infatti per risultare efficaci, servizi di tipo tradizionale dovrebbero avere frequenze elevate e conseguentemente coefficienti di occupazione-passeggeri molto ridotti, con impatti per passeggero trasportato simili a quelli dell’auto).

A fronte di tale situazione, fino ad oggi la maggior parte delle politiche di settore – sviluppate su scala nazionale e regionale – sono state indirizzate alla realizzazione di nuove infrastrutture (stradali e ferroviarie) afferenti ai grandi corridoi europei. Questo modo di impostare il problema ha poco a che fare con la concreta situazione della domanda di mobilità sopra descritta. Continuare a realizzare nuove infrastrutture finalizzate ad attrarre nuovo traffico non consentirà di rispondere ai problemi della prevalente domanda di mobilità regionale-metropolitana. Rischiando di sprecare risorse pubbliche importanti per opere che aumenterebbero la congestione, la conseguente dispersione territoriale e via di questo passo.

Allora che fare?

Politiche della mobilità e politiche del territorio sono intimamente connesse. Una politica di “consumo zero di suolo” è la base per fermare il fenomeno dello sprawl e le sue conseguenze complessive, non solo sulla mobilità ma anche sull’assetto idrogeologico del suolo. Dobbiamo iniziare a governare la domanda.

Per quanto riguarda in modo specifico le politiche di mobilità, credo che non esista una unica misura risolutiva, ma una serie di interventi da avviare su più livelli, nazionale e locale, sia sul piano tariffario che sugli investimenti.

Alcuni esempi: per ridurre il grave carico ambientale prodotto dal trasporto merci su gomma, a parte lo sviluppo di corridoi merci su ferro (che necessitano comunque di tempi e soldi per la realizzazione) esiste già una misura tariffaria immediata, a costo zero, che non necessita di alcun appalto pubblico per essere attivata (un dubbio: sarà mica proprio per questo che non viene considerata?): la lezione ci arriva dall’Europa e si chiama Eurovignette, in molti Paesi del centro-nord Europa lungo le reti autostradali esistenti vengono applicate tariffe differenziate per orario e tipologia di mezzi in transito. Creando dei “corridoi orari” dedicati al trasporto merci. Tradotto: se aumento sensibilmente la tariffa del pedaggio autostradale per i mezzi pesante nelle ore di maggiore congestionamento (concedendo forti ribassi tariffari in altre fasce orarie) ottengo un decongestionamento della rete esistente, una riduzione dell’inquinamento, dei tempi di attesa e dell’incidentalità. Senza grandi opere.

E poi serve un deciso cambio di strategia da parte di Ferrovie dello Stato, società che oltre a pensare alle plusvalenze immobiliari dovrebbe diventare attore principale della cura del ferro nelle aree urbane e metropolitane. A Milano in questi mesi stiamo discutendo sul futuro degli Scali FS dismessi: attorno a questo tema si lega la necessità di spingere FS a programmare investimenti strategici sul nodo di Milano da qui ai prossimi decenni, in modo da liberare spazi per il trasporto regionale e metropolitano ed avviare concretamente la realizzazione della mobilità sostenibile per un’area vasta di sei milioni di abitanti. Un nuovo modello di impresa per FS, con investimenti di lungo periodo a redditività sicura – la domanda di mobilità continuerà ad aumentare nelle grandi aree urbane – centrato sul core-business di un’azienda di trasporti. Certo, servirebbe un respiro strategico che vada al di là della scadenza del prossimo Consiglio di Amministrazione, o delle prossime elezioni politiche. Ce la faremo?

Enrico Fedrighini – Responsabile  Mobilità sostenibile e trasporti

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