Le polemiche che nascono continuamente sulla questione del gender nella scuola sono molte, ma parlarne è un dovere della scuola stessa per adempiere al suo ruolo educante.
Confesso la mia meraviglia e anche la mia difficoltà di insegnante, ma anche di mamma e nonna, nel comprendere lo sdegno e le contese prettamente ideologiche che continuamente si scatenano sulla questione cosiddetta del “gender” a scuola. In realtà penso che le cose siano molto più semplici di quanto si voglia farle apparire e che si possano riassumere nella necessità e nel dovere per la scuola di adempiere a pieno al suo ruolo educante, formativo e di trasmissione di valori. Tra tutti il rispetto della persona.
Nei miei trentotto anni di insegnamento, in modo del tutto naturale e, sollecitata dai miei stessi alunni e alunne, mi è capitato di affrontare il tema dell’affettività, ma anche, con le dovute accortezze, quello della sessualità. L’ho fatto sempre con il consenso dei genitori e con la delicatezza necessaria, ma non mi sono mai sottratta alla responsabilità, che tutti in quanto adulti abbiamo, di informare correttamente, di prevenire conflitti, prevaricazioni, acquisizione di comportamenti che poi, in età adulta, possono diventare violenti, brutali, aggressivi.
A tutti noi insegnanti che teniamo gli occhi aperti e abbiamo un atteggiamento vigile succede talvolta di accorgerci, ad esempio, che le bambine vengano considerate dall’alto in basso, soprattutto se sono timide e introverse, che vengano escluse da certi giochi e prese in giro per il carattere, per l’aspetto fisico, per il modo di porsi. O, semplicemente, perché sono femmine. Un latente maschilismo, retaggio di modelli familiari e sociali che purtroppo fanno presa su certi ragazzini più agguerriti, serpeggia anche tra i banchi della scuola elementare, e ancora prima, e va contrastato subito e con forza.
Perché certi atteggiamenti, se prendono piede, sono poi difficili da estirpare; si creano modalità di interazione basate sulla forza, su una presunta superiorità di genere, sul ricatto, sulla prepotenza e, di rimando, generano accettazione passiva e silenzio. Molte bambine tendono ad assecondare, pur nella sofferenza, comportamenti prevaricatori. Anche tra i maschi ci sono persecutori e perseguitati. Gli insegnanti hanno grandi responsabilità riguardo al clima che si crea in una classe e non devono chiudere gli occhi e far finta di niente, magari per pigrizia o per quieto vivere. Stigmatizzare diventa necessario, educativo; non si devono far passare nel silenzio atteggiamenti aggressivi, fisici o verbali che siano, ma anche il sarcasmo, la presa in giro, l’uso di parole degradanti anche per coloro che le pronunciano.
Dal momento però che sempre di bambini si tratta, è importante andare al recupero, non emarginare, far ragionare e riflettere prima di incorrere in sanzioni o punizioni. Tornarci su mille volte senza paura di perdere tempo. E’ importante insegnare a chiedere scusa e a mettersi in discussione, nella consapevolezza che tutti possiamo sbagliare. A questo servono anche le assemblee di classe, nelle quali si discute insieme, si confrontano le diverse opinioni, si ragiona sugli accadimenti della classe, si stipulano accordi e si assumono decisioni. Sono pratiche democratiche con le quali si prende dimestichezza strada facendo ed è bello quando sono gli stessi alunni a richiederle, perché ne comprendono l’utilità e l’efficacia. In fondo a nessuno piace star male, vivere situazioni conflittuali e soffrire.
Va detto che non sempre è possibile risolvere tutto con modalità pubbliche e comunitarie. Ci sono bambini che hanno bisogno del piccolo gruppo per esprimersi, del singolo insegnante con cui confidarsi e di momenti dedicati. Il tempo va trovato, perché le necessità dei bambini non solo solo materiali o strettamente scolastiche, e non vanno eluse e messe in secondo piano rispetto agli apprendimenti o al programma “che deve andare avanti”. L’educazione all’affettività e e anche ad una sessualità rispettosa, delicata, protetta, al rapporto tra i generi improntato al rispetto e alla reciprocità, porta inevitabilmente, in particolare nella scuola superiore, a considerare con la massima attenzione e rispetto l’orientamento sessuale che, peraltro, è spesso già abbastanza chiaro e si manifesta precocemente anche nella scuola primaria.
Non si tratta certo di fare proselitismo tra eterosessuali o omosessuali, o di pensare di “guarire” presunte devianze. Si tratta di lavorare perché ciascuno possa godere del rispetto, dell’amicizia e del diritto ad amare quale che sia il suo orientamento . Tutti sappiamo bene che i casi di bullismo, le violenze, prendono di mira facilmente coloro che, anche senza volerlo, rendono riconoscibile la propria diversità. Di che cosa si ha paura dunque? Della serenità dei nostri ragazzi? Dell’informazione, della sicurezza, di atteggiamenti inclusivi, di un’ esistenza più serena per i ragazzi e le ragazze, per le loro famiglie? Sono sotto gli occhi di tutti le violenze indirizzate nei confronti di giovani e ragazzi che si affacciano alla vita e cercano di trovare il loro posto, le loro sofferenze, che spesso si concludono con suicidi; la difficoltà di essere se stessi, cosa che dovrebbe essere consentita a tutti. Non è vero che l’omofobia si può omologare ad altri tipi di violenza e quindi non ha bisogno di tutele speciali. L’omofobia, proprio come il femminicidio, la violenza sulle donne o sui bambini, ha una sua peculiarità e specificità. E va trattata nei modi giusti, garantendo tutela, protezione, anche legislativa, giustizia, pene certe.
Chi subisce, maschio o femmina che sia, lesbica, gay o transgender deve sentirsi sempre sostenuto e protetto, a scuola come in famiglia.
E chi amministra e governa, chi ha responsabilità politiche, ha il compito preciso di garantire attenzioni e tutele, deve lavorare perché il rispetto degli altri entri a far parte delle modalità relazionali, del corretto confronto e scambio tra i generi non solo a scuola, ma anche in famiglia e, più tardi, nel mondo del lavoro, nei rapporti di coppia e nella società. Le “buone pratiche”, come le buone maniere, sono comportamenti che devono avere solide radici, che partono da lontano, e l’infanzia, è risaputo, è terreno fertile da seminare: i bambini sono duttili, ricettivi, ancora disposti al cambiamento. Ecco perché la scuola, necessariamente, deve adempiere al suo ruolo educativo e la politica ha il dovere di accompagnarla in questo percorso virtuoso che consentirà ai nostri ragazzi e ragazze non solo l’educazione, la cultura, l’istruzione, ma anche il diritto a un po’ di felicità.
Lucia Coppola – Responsabile Welfare