Vuoto a rendere: torna una buona pratica per aiutare l’ambiente

Reintrodotto il vuoto a rendere, un segnale positivo considerato che in Italia vengono prodotti 6 miliardi di bottiglie in plastica solo per l'acqua
vuoto a rendere

Quando sentiamo l’espressione “vuoto a rendere”, immediatamente l’immaginario collettivo suggerisce – a chi ne ha memoria – momenti in cui si andava a prendere il latte alla latteria, il commerciante te lo serviva nella bottiglia di vetro che poi veniva riportata e, una volta sterilizzata, riutilizzata dallo stesso. Ebbene questa pratica oggi è tornata in auge. Nonostante potrebbe sembrare desueta, in questa nostra era consumistica in cui quasi ogni oggetto di utilizzo comune è “usa e getta”.
Il Ministero dell’Ambiente con il decreto 142/2017 (il cui testo integrale lo trovate a disposizione qui) ha ripristinato la prassi del “vuoto a rendere”, per cercare di ottimizzare il processo di riciclo e riuso del vetro, anche se solo in fase sperimentale e ad attuazione facoltativa da parte degli esercenti. Tale regolamento fa capo al Collegato Ambientale del 2015 in materia di prevenzione dei rifiuti da imballaggio monouso.

Ma come funzionerà? Dal prossimo 10 ottobre, i commercianti che aderiranno alla sperimentazione metteranno fuori dalle proprie attività un cartello che indicherà che si tratta di un esercizio che accetta la pratica del “vuoto a rendere” e quindi il cittadino potrà riportare contenitori in vetro, plastica e lattine di acqua e birra (almeno per la fase iniziale) di una capacità tra  0,20 litri e 1,5 litri. Al momento della consegna al cliente verrà restituito il costo dell’imballaggio per un importo compreso tra i 5 ed i 30 centesimi di Euro.

Vuoto a rendere: i benefici per l’ambiente

Il “vuoto a rendere” oltre a far bene alle tasche dei consumatori, sarà soprattutto molto favorevole per l’ambiente. Dalle stime e da quanto già osservato in paesi in cui questa è già diventata una prassi diffusa come Germania, Danimarca e Norvegia, con il riciclo di questa tipologia di vuoti, per via del differente processo di sterilizzazione del materiale, si va a risparmiare circa un 60% sull’energia normalmente necessaria per riciclarli. C’è anche da considerare il fatto che alcuni tipi di contenitori possono essere riciclati fino a 10 volte. Quindi se pensiamo che in Italia si producono circa 6 miliardi di bottiglie di plastica l’anno da 1,5 litri, solo per l’acqua, con un consumo di petrolio per 450 mila tonnellate e 1,2 milioni di tonnellate di CO2 emesse (fonte: studio Altroconsumo 2014 consultabile qui), possiamo facilmente sperare in una riduzione della produzione ex novo a vantaggio delle bottiglie riciclate.

Al momento si tratta di una fase sperimentale di un anno, nella quale il Ministero deve anche valutarne la fattibilità tecno-economica e ambientale, per capire se alla fine è un sistema che ha funzionato e se si potrà estendere ad altri tipi di imballaggi e di prodotti. Un altro aspetto molto importante da valutare è anche se questo processo di riciclo può andare ad integrarsi con il processo dei Consorzi Conai per la gestione del riciclo dei rifiuti da imballaggio, insomma, far sì che anche a livello industriale riesca ad inserirsi nella filiera nazionale già consolidata.

Per il bene dell’ambiente, noi Verdi auspichiamo che questo decreto riscuota il successo sperato e che sia solo una base per iniziare un processo di riuso (di cui ha parlato Vincenzo Fornaro qui) di materie prime che entri a far parte della normalità della produzione italiana.

 

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