TAV: il tunnel in Val di Susa è del tutto inutile

I dati contraddicono i fautori del progetto: il tunnel in Val di Susa non serve per la TAV, di Monica Frassoni, Co-Presidente dei Verdi Europei
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Ho cominciato  ad andare in Valsusa e a occuparmi della linea ferroviaria Lione-Torino, oggi ridotto in realtà al controverso Tunnel di 57 km sotto le Alpi, all’inizio di questo secolo, quando, giovane eurodeputata eletta in Belgio, con il consigliere regionale Verde Enrico Morriconi e con Anna Donati, futura presidente della commissione lavori pubblici e trasporti del Senato e tra i massimi esperti di trasporti in Italia, eravamo tra i pochissimi politici a dialogare e collaborare con il Movimento NOTAV, già allora capace di una forte mobilitazione locale in piena sintonia con le amministrazioni, contro un’opera inutile e finanziariamente insostenibile.

Oggi come allora, quel tunnel non è prioritario né per l’Italia, né per la Francia né per l’Europa. In primo luogo, il tunnel della Valsusa va abbandonato senza se e senza ma, evitando di spenderci altri soldi, visto che già ne sono stati buttati al vento 1,8 miliardi in studi, progettazione e lavori preliminari (più naturalmente gli svariati milioni di euro spesi per militarizzare la zona nel corso degli anni). Del grande progetto di una linea ad Alta Velocità, poi ad Alta capacità, rimane oggi un tracciato “low cost” che si concentra appunto sul tunnel di base, lungo 57 km che si innesta in gran parte sul percorso attuale e che ha un costo appena attualizzato dal CIPE di circa 9 miliardi di euro.  Il punto fondamentale sul quale da sempre battono gli ecologisti, oltre naturalmente al notevolissimo impatto ambientale, è quello di assicurare una valutazione onesta, sulla base dei trends dei flussi di traffico e sull’insieme dei valichi alpini della reale utilità dell’opera, del suo costo per tutti, e non solo per la comunità locale. La logica è dunque opposta a quella del tanto vituperato NIMBY. Le stime di traffico sulla quale una decina di anni fa si era deciso di proseguire nel progetto di una nuova linea Alta Velocità con il famoso tunnel, sono state riconosciute come totalmente irrealistiche dall’Osservatorio per l’Asse ferroviario presso la Presidenza del Consiglio all’ inizio di quest’anno: nel 2005, nonostante che già dagli anni ’90 il traffico fosse fortemente diminuito e nonostante molti esperti avessero avvertito che il trend discendente sarebbe proseguito, si prevedevano per il 2050 ben 80 milioni di tonnellate su quella tratta. La realtà è ben diversa. Il traffico su ferrovia è stato tra gli 8 e i 10 milioni di tonnellate circa tra il 1980 e il 2000. E oggi, dopo i lavori costati circa un miliardo di euro per ammodernare l’attuale infrastruttura, siamo piu o meno sui  3 milioni di tonnellate. Insomma, la linea attuale è fortemente sottoutilizzata e nulla può fare prevedere che la situazione cambi in modo radicale nei prossimi anni. Ma non per colpa della mancanza del buco nella montagna o della vetustà della linea ferroviaria storica del Fréjus : ma a causa della scarsa domanda su quella linea.

Inoltre, in particolare per le merci, è stato ampiamente dimostrato che le infrastrutture ferroviarie in quanto tali non portano necessariamente a nuovo traffico  senza politiche che incentivino a passare dalla gomma al ferro, perché la gomma rimarrà l’opzione più semplice ed economica: La Svizzera da anni ha una politica dei trasporti sistematicamente orientata a scoraggiare la mobilità delle merci su gomma a favore della ferrovia e da anni ha una tassa sul traffico pesante (Ttpcp) in base alla quale un Tir con un carico di 40 tonnellate di merci paga sul tragitto Chiasso-Basilea. (con questo gettito è stato in parte finanziato lo stesso tunnel del Gottardo); in Italia avviene esattamente il contrario: l’autotrasporto beneficia di larghissime sovvenzioni pubbliche (centinaia di milioni all’anno); e mentre si progetta di spendere alcuni miliardi per il tunnel ferroviario in Valle di Susa, contemporaneamente si fa una seconda galleria autostradale sotto il Fréjus che porterà ad aumentare sensibilmente il traffico delle merci su gomma lungo quell’asse. Conclusione : su quella linea non ci sarà traffico sufficiente a giustificare un tale utilizzo di risorse pubbliche che devono essere utilizzate ad altri fini molto più utili.

Secondo: chi insiste che se dovessimo tornare sui nostri passi dovremmo “ripagare” all’Unione europea delle penali stratosferiche e fantasiose fa opera di disinformazione. L’Unione europea non ha deciso di finanziare il 40% del costo del tunnel di base. Ha deciso nel 2013 di finanziare i lavori preparatori e l’inizio dei lavori (non meglio identificati, dato che il progetto definitivo è stato approvato solo nel 2017) per 813 milioni di euro circa nel periodo che copre le prospettive finanziarie della UE dal 2014 al 2020. E’ evidente che questi denari non sono sufficienti a finanziare l’intera opera e infatti ci si prepara alla battaglia per l’assegnazione dei fondi sulla base di progetti da presentare per il prossimo periodo 2021/2027. Quindi non si possono pagare penali su denari non ancora decisi e attribuiti. Quanto all’idea che la UE possa richiedere il rimborso di soldi spesi per opere che poi non saranno fatte, devo dire che da contribuente europeo me lo augurerei. Il rimborso però dovrebbe essere fatto non da tutti noi, ma da coloro che hanno in questi anni favorito e sostenuto un’opera chiaramente inutile.

In conclusione: c’è tempo e modo di ritornare sulla scelta del tunnel. Ed eventualmente di battersi, come avevamo proposto lustri fa, invece di incaponirsi su di esso, per capire come quella linea possa essere meglio sfruttata rispetto alla situazione attuale, magari seguendo l’esempio svizzero di disincentivare il trasporto su gomma, oggi largamente dominante nel nostro paese.

(questo articolo è uscito su Il Giornale di Brescia edizione cartacea del 29 luglio)

 

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