TTIP: Marchi Dop e IGP saranno duramente penalizzati

L’eventuale entrata in vigore del TTIP penalizzerebbe duramente il valore dei nostri marchi DOP e IGP. L”Italian Sounding’ rischia di mietere numerose vittime proprio mentre il comparto agroalimentare e...

L’eventuale entrata in vigore del TTIP penalizzerebbe duramente il valore dei nostri marchi DOP e IGP.

L”Italian Sounding’ rischia di mietere numerose vittime proprio mentre il comparto agroalimentare e quello legato alle Dop e alle Igp fa da traino per la ripresa. Per aprire ulteriormente un mercato privo dei nostri standard qualitativi e sanitari si rischia di sacrificare quello principale: il mercato europeo.

Uno dei nodi fondamentali dell’accordo transatlantico Ttip tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti è sicuramente quello dei prodotti agroalimentari ed in verità, diversi sono gli indizi che navigano contro la possibilità che l’agricoltura italiana ed europea possa ottenere benefici da questo accordo internazionale. Il rapporto redatto da Friends of the Earth Europe, pubblicato in Italia in collaborazione con l’associazione Fairwatch, parla chiaro: il contributo dell’agricoltura sul Pil europeo calerebbe dello 0,8% con l’ovvia conseguenza della perdita dei posti di lavoro; negli Stati Uniti, invece, questo stesso dato aumenterebbe dell’1,9%. Inoltre, ha spiegato Monica di Sisto di Fairwatch Italia, il Ttip potrebbe portare molti agricoltori europei a confrontarsi con una concorrenza a prezzi decisamente più bassi. Peraltro, le regole sanitarie sono profondamente diverse e, così, se gli allevamenti di manzo Ue producono carni controllate da rigidi regolamenti sanitari, così come latte e formaggi, lo stesso non si può dire degli stabilimenti statunitensi e, secondo gli scenari previsti, le esportazioni Usa dovrebbero aumentare fino a 5,4 miliardi al contrario di quelle europee che si fermerebbero a 3,7. Gli standard di sicurezza alimentare europei potrebbero subire un colpo durissimo; un esempio è la ractopamina.
Tra il 60 e l’80% dei suini statunitensi viene trattato con questo ormone che, però, è attualmente vietato oltre che nell’area Ue anche in circa altre 160 nazioni e la sperimentazione conclusa nel 2009 dall’Efsa ha mostrato chiaramente che non ci sono abbastanza dati per affermare che tale ormone sia sicuro per la salute umana. Negli Stati Uniti, inoltre, sono autorizzati 82 pesticidi vietati nell’Unione europea ed è consentito l’utilizzo di antibiotici nei mangimi dei polli (in Ue è vietato dal 2006). Il Ttip prevedrebbe, quindi, un’equivalenza al ribasso dei criteri produttivi e degli standard igienici e di sicurezza, aprendo la strada all’esportazione nei mercati europei della carne di animali trattati con antibiotici, di cui non sarebbero neanche rilevate le tracce.
Per quanto riguarda specificamente l’Italia, uno dei temi più sentiti è sicuramente quello delle esportazioni verso gli Stati Uniti, un partner importante come si deduce anche dal rapporto della Sace, società di Cassa Depositi e Prestiti, del 2015.
Dallo stesso rapporto, però, è riscontrabile anche come molto più influenti siano i settori export verso Germania, Inghilterra e paesi arabi come testimonia anche la crescita del 70% dell’export italiano verso l’area Ue ottenuto negli ultimi dieci anni; una crescita che verrebbe messa a repentaglio dall’apertura ad un mercato dagli standard qualitativi tendenzialmente molto più bassi.
Secondo le stime, ad esempio, la riduzione delle esportazioni verso la Germania, attualmente il principale mercato per prodotti caseari ed insaccati, si aggirerebbe attorno al 30%.
Anche il secondo rapporto della Sace 2016-2019 prevede un aumento del tasso di esportazione nei confronti degli Stati Uniti, ma, allo stesso tempo, mette in luce come questo vada a decrescere negli anni (+20,8% nel 2015; +9,0% nel 2016; +6,5% tra 2016 e 2019) al contrario di quello nei confronti dell’Europa occidentale (+1,7% nel 2015; +2,7% nel 2016; + 3,6% tra 2017 e 2019) e addirittura di quello nei confronti dell’Europa orientale (-8,1% nel 2015; -1,2% nel 2016; +2,2% tra 2017 e 2019). Non si può certamente parlare di una strategia a breve termine dato che le clausole del Ttip assesterebbero un colpo mortale e duraturo alle tutele sanitarie e qualitative del settore agroalimentare italiano, ma anche volendolo fare, questa teoria si scontra con la realtà dei dati: il nostro export negli Stati Uniti è valso, infatti, 40 miliardi di euro nel 2015, ma quello nei confronti dell’Europa occidentale è valso 209 miliardi di euro, mentre quello verso l’Europa orientale (seppur con il dato negativo delle esportazioni) si è attestato addirittura su 54 miliardi di euro.
Quanti di questi verrebbero messi a repentaglio dall’introduzione di nuovi standard che penalizzano la qualità che contraddistingue i prodotti europei ed italiani?
In aggiunta, solo lo 0,7% delle Pmi europee esporta verso gli Stati Uniti ed il valore dei beni e dei servizi esportati contribuisce per meno del 2% del valore aggiunto prodotto complessivamente dalle Pmi europee. Uno degli aspetti fondamentali, in particolare per l’Italia, è quello dei prodotti a marchio Dop ed Igp. Innanzitutto, bisogna ricordare che il marchio Dop (Denominazione d’origine protetta) è un marchio di tutela giuridica attribuito dall’Unione Europea ad alimenti le cui caratteristiche qualitative dipendono dall’ambiente in cui sono stati prodotti.
Si tratta di fattori naturali come il clima ed umani come le tecniche di produzione, le tradizioni.
Questa denominazione intende che il prodotto sia inimitabile al di fuori dei territori segnalati e che le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione debbano necessariamente avvenire all’interno della delimitata area geografica. Per quanto riguarda l’Igp, invece (Indicazione Geografica Protetta) si tratta del marchio che sempre l’Unione Europea attribuisce a prodotti alimentari dalla qualità legata ad una limitata area geografica. In questo caso, però, almeno una fase del processo deve necessariamente avvenire nella determinata area geografica. La bresaola della Valtellina, ad esempio, è un prodotto a marchio Igp perché malgrado le carni degli animali possano non essere state allevate in Valtellina, il clima della valle conferisce loro, nel corso della stagionatura, le peculiarità riconosciute all’alimento. Il numero di prodotti Dop e Doc (Denominazione d’Origine Controllata) europei supera i 1500 marchi di cui quelli tutelati nell’accordo sarebbero circa 200, stante l’attuale bozza del Ttip. Gli Stati Uniti, peraltro, producono già alimenti simili a quelli tutelati dai marchi europei i quali, con l’approvazione del trattato, potrebbero circolare liberamente e confondersi con quegli alimenti europei che avrebbero perso tale tutela come ha di recente candidamente fatto capire l’ambasciatore Usa presso l’Unione Europea Anthony Gardner.
Secondo un rapporto di Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), l’export Dop e Igp è cresciuto dell’8% nel 2015 e vale circa il 21% delle esportazioni italiane del settore. La produzione italiana ha avuto un fatturato di 13,4 miliardi di euro ed è valsa il 10% sul fatturato dell’industria agroalimentare nazionale. Su 284 prodotti a marchio Dop o Igp, dall’attuale bozza dell’accordo sul Ttip sarebbe stata richiesta una salvaguardia rafforzata per 42.
Gli Stati Uniti, però, non riconoscono i marchi delle eccellenze agroalimentari europee e, peraltro, proprio negli States ha preso ampiamente piede il fenomeno definito “Italian sounding”.
Si tratta di generi che richiamano i prodotti italiani dalle denominazioni molto generiche come, ad esempio, “Asiago”, “Fontina” e che rappresentano un giro d’affari di circa 21 miliardi di dollari l’anno. Se, dunque, da un lato si aprirebbe un’ulteriore fetta di mercato negli Stati Uniti, dall’altro sul mercato europeo si potrebbero trovare salumi, formaggi o prodotti ortofrutticoli dai nomi simili, ma a minor prezzo e privi di precise denominazioni geografiche che, attualmente, tutelano i prodotti Dop ed Igp dato che queste sono assenti nella legislazione americana.
Si tratta della principale preoccupazione emersa dall’audizione della Conferenza delle Regioni e delle province autonome la cui delegazione era guidata da Simona Caselli, assessore dell’Emilia Romagna presso la commissione Agricoltura di Montecitorio. Secondo Caselli è necessario che negli Stati Uniti “sia garantita una tutela analoga a quella europea”, mentre, prosegue, attualmente “la tutela nel territorio statunitense è garantita solo attraverso complesse e costose iniziative legali”.
Oltre all’etichettatura, peraltro, anche il meccanismo di risoluzione delle controversie negli Stati Uniti potrebbe dover addirittura costringere singoli o associazioni di cittadini europei ad un arbitrato contro potenti staff legali di multinazionali del cibo.
Proviamo, dunque, a vedere quali sono i prodotti la cui salvaguardia è rafforzata e quali, invece, potrebbero essere posti, come evidenziato anche dalle dichiarazioni precedentemente riportate della Conferenza delle regioni e delle province autonome, davanti a rischi di confusione o di regime sfavorevole a causa delle differenti regolamentazioni del settore agroalimentare statunitense.
In Sicilia su 29 prodotti ne vengono preservati con una salvaguardia rafforzata 3: l’arancia rossa di Sicilia, il cappero di Pantelleria ed il pomodoro di Pachino.
Rimangono fuori dalla salvaguardia rafforzata, però, prodotti fondamentali come il pistacchio verde di Bronte, gli oli siciliani di val di Mazara, Valdemone, valle del Belice e valli trapanesi, ma il comparto più a rischio sarebbe quello degli agrumi che stando al 2015 comprende da solo 42 mila aziende, 84 mila addetti diretti, 504mila nell’indotto (tra raccolta, commercializzazione, distribuzione e trasformazione). Tra gli agrumi siciliani l’unica tutela rafforzata è quella dell’arancia rossa di Sicilia, mentre l’arancia di Ribera, il limone di Siracusa ed il limone interdonato di Messina rimangono fuori. In Calabria nessuno degli attuali 16 prodotti è incluso nel regime di salvaguardia rafforzata nella bozza dell’accordo. Tra questi ci sono prodotti come la cipolla rossa di Tropea, il bergamotto di Reggio Calabria, la liquirizia della Calabria e la soppressata. Secondo il rapporto Svimez è stata proprio l’agricoltura a trascinare la crescita anche della Calabria di circa l’1,1% dalle ultime rilevazioni.
In Basilicata nessuno degli attuali 9 prodotti è inserito in regime di tutela rafforzata all’interno del Ttip. Tra questi ci sono prodotti fondamentali in una regione che fa dell’agricoltura uno dei suoi settori più importanti (nel 2011 questa valeva, da sola, il 6% del Pil regionale) come il pane di Matera e l’olio del Vulture. In Puglia su 18 prodotti 2 sono compresi nella bozza dell’accordo tra i quali, però, vi è la mozzarella di bufala campana che interessa solo il territorio della provincia di Foggia. Oltre ad essa, è compreso l’olio della Terra di Bari.
Non sono compresi nell’accordo per la salvaguardia rafforzata prodotti come il pane di Altamura, gli oli di Terra d’Otranto e Terre Tarentine e, addirittura, l’uva di Puglia.
Si tratta di prodotti estremamente importanti perché rappresentativi della stessa storia della regione che fa del settore agroalimentare e della sua esportazione sul mercato europeo un fondamentale punto di forza. In particolare la produzione di uva ed olio potrebbero risentire della concorrenza perpetrata non ad armi pari. In Molise su 6 prodotti ne viene rafforzata la salvaguardia di 1, ma anche in questo caso si tratta della mozzarella di bufala campana il cui allevamento è geolocalizzato nella sola area di Isernia. L’olio del Molise, ad esempio, non è incluso.
In Abruzzo nessuno degli 8 prodotti è compreso nell’accordo.
Mancano all’appello prodotti estremamente identificativi come l’aprutino Pescarese e lo zafferano dell’Aquila. In Campania di 22 prodotti a marchio Dop, Igp 1 di questi godrebbe di una tutela rafforzata: la mozzarella di bufala campana. Rimangono fuori dall’accordo, però, prodotti a dir poco fondamentali come il limone della Costiera Amalfitana, il limone di Sorrento, la pasta di Gragnano ed il pomodoro San Marzano dell’agro nocerino-sarnese.
Inutile riaffermare che si tratta di prodotti palesemente importanti per la Campania e per il settore agroalimentare regionale. Nel Lazio su 25 prodotti a marchio Dop e Igp, è previsto un regime di salvaguardia rafforzata per 6 di questi, ma 3 sono localizzati solo in alcune aree della regione come la mortadella Bologna, la mozzarella di bufala campana ed il pecorino toscano.
Vengono rafforzati, quindi, anche il kiwi di Latina ed il pecorino romano.
Rimangono fuori, però, salumi (tra i prodotti più colpiti dal fenomeno dell’Italian Sound) come l’abbacchio romano, la porchetta di Ariccia ed il prosciutto amatriciano e latticini come la ricotta romana. In Sardegna su 7 prodotti viene effettivamente rafforzata la tutela al principale, ovvero il pecorino sardo oltre che alle produzioni di pecorino romano situate nella regione.
Rimangono fuori, ad ogni modo, prodotti come l’agnello di Sardegna, formaggi come il Fiore sardo e l’olio di Sardegna. In Toscana su 30 prodotti ne vengono tutelati 7: il lardo di Colonnata (Igp), il pecorino toscano, il prosciutto toscano , i ricciarelli di Siena e l’olio Toscano assieme ad altri due prodotti localizzati in alcune aree come la mortadella Bologna ed il pecorino romano.
Non sono inseriti nel regime di salvaguardia rafforzata, però, prodotti come i cantuccini toscani ed il panforte di Siena e, soprattutto l’olio Chianti classico, un prodotto apprezzatissimo e, proprio per questo, a rischio imitazione. In Umbria su 9 prodotti, il regime di salvaguardia rafforzata ne comprende 2: la lenticchia di Castelluccio di Norcia ed il pecorino toscano. Rimane fuori un prodotto chiave come il prosciutto di Norcia e l’olio dell’Umbria. Nelle Marche su 13 prodotti, la salvaguardia rafforzata ne comprende 2, entrambe condivise: la lenticchia di Castelluccio di Norcia e, anche qui, la mortadella Bologna.
Rimangono fuori, però, prodotti altamente rinomati della tradizione regionale e nazionale come il ciauscolo o l’oliva ascolana del Piceno oltre al prosciutto di Carpegna.
In Emilia Romagna su 31 prodotti ne sono compresi nell’accordo 12: l’aceto balsamico di Modena, l’aceto balsamico tradizionale di Modena, il cotechino di Modena, il culatello di Zibello, il Grana Padano, la mortadella Bologna, il Parmigiano Reggiano, pesca e nettarina di Romagna, prosciutto di Modena, prosciutto di Parma, provolone Valpadana e zampone di Modena.
Anche per quanto riguarda l’Emilia Romagna oltre alla ciliegia di Vignola, il rischio potrebbe derivare dai salumi che non rientrano all’interno della salvaguardia rafforzata quali la coppa di Parma, la coppa piacentina, la pancetta piacentina, la salama da sugo, il salame Cremona, il salame felino, il salame piacentino, i salamini italiani alla cacciatora e dai formaggi come il rinomatissimo squacquerone di Romagna. In Liguria nessuno dei 3 prodotti a marchio Dop o Igp è compreso nella bozza dell’accordo. Tra questi, però, c’è il basilico genovese che benissimo potrebbe essere esposto al rischio contraffazione ad un costo più basso.
In val d’Aosta su 4 prodotti ne viene tutelato 1: la fontina.
Gli altri sono prodotti estremamente rappresentativi della regione e che rientrano nelle categorie maggiormente contraffabili sopracitate come il Fromadzo, lo jambon de Bosses e il lard d’Arnad.
In Piemonte su 16 prodotti ne vengono ulteriormente tutelati 3 tra cui il grana padano, il gorgonzola ed il taleggio. Rimangono fuori anche in Piemonte, però, prodotti come il crudo di Cuneo, la robiola di Roccaverano ed il salame Piemonte. In particolare, la robiola di Roccaverano, ad esempio, non è semplice robiola, ma la mancanza di regolamentazioni simili a quelle europee circa la denominazione di origine protetta o controllata potrebbe creare confusione e penalizzare un prodotto di qualità. In Lombardia di 33 prodotti ne vengono ulteriormente salvaguardati 10: la bresaola della Valtellina, l’olio del Garda (ed a questo punto non si comprende perché quasi tutti gli altri oli non vengono maggiormente tutelati in un mercato così facilmente contraffabile), il gorgonzola, il grana padano, il parmigiano reggiano, il provolone valpadana ed il quartirolo lombardo. Rimangono fuori, ad esempio, le mele della Valtellina e la pera mantovana o il salame Brianza, il salame Cremona, il salame di Varzi ed il salame d’oca di Mortara.
In Veneto su 36 prodotti, 12 rientrano nelle tutele rafforzate tra cui, però, anche prodotti condivisi con altre regioni come la mortadella Bologna, il provolone Valpadana, lo zampone di Modena, il grana padano ed il taleggio. Anche l’asiago, il montasio, il radicchio rosso di Treviso, l’olio Veneto Valpolicella, Euganei e Berici, l’olio Veneto del Grappa ed il riso Vialone Nano Veronese.
Rimane fuori tutto il comparto agricolo degli asparagi tra cui l’asparago bianco di Cimadolmo, l’asparago di Badoere e l’asparago bianco di Bassano e buona parte del comparto del radicchio con il radicchio di Verona, quello di Chioggia ed il radicchio variegato di Castelfranco.
Anche i marroni rimangono privi di ulteriori tutele come il marrone di Combai, il marrone di San Zeno ed il marrone di Monfenera oltre alla ciliegia di Marostica, il miele delle Dolomiti bellunesi ed il prosciutto berico veneto-euganeo. In Friuli Venezia Giulia di 6 prodotti ne vengono ulteriormente rafforzati 2: il Montasio ed il prosciutto di San Daniele. Non trovano aggiuntive salvaguardie il prosciutto di Sauris e la brovada. In Trentino – Provincia autonoma di Trento, su 11 prodotti ne sono tutelati 5. Tra questi sono presenti anche prodotti condivisi con diverse altre regioni come la mortadella Bologna, il Grana Padano ed il provolone Valpadana oltre all’asiago e all’olio del Garda. Rimangono fuori i due principali alfieri della coltivazione della frutta trentina come la mela della Val di Non e la susina di Dro oltre e formaggi come la Spressa delle Giudicarie.
In Alto Adige-Sudtirol – Provincia autonoma di Bolzano su 4 prodotti ne vengono tutelati 2: la mela dell’Alto Adige – Sudtiroler Apfel e lo speck dell’Alto Adige – Sudtiroler Markenspeck. Rimangono fuori dalla salvaguardia rafforzata prodotti come lo Stelvio – Stilfser. Davanti ad una varietà di prodotti di questo tipo e, viste le considerazioni scritte in precedenza, è chiaro che paesi dalla cultura gastronomica ed ambientale forte come l’Italia, la Francia, la Spagna e la Grecia potrebbero incorrere in problemi enormi davanti a ricavi tutt’altro che esaltanti dal punto di vista economico (anzi, sul mercato europeo è possibile una contrazione) e a veri e propri rischi dal punto di vista degli standard qualitativi e sanitari. Una rivisitazione al ribasso degli standard europei ed un confronto con un mercato in cui la qualità e la salute vengono sacrificate sull’altare della convenienza non può che arrecare danni ad economie che, invece, dell’agricoltura specializzata e sul mantenimento e la valorizzazione delle tradizioni agroalimentari fanno un loro punto di forza. Appare chiaro che un accordo di mercato (così come è emerso anche dalle enormi divergenze sulle legislazioni di internet e del mondo del web) può essere proficuo nel momento in cui si gioca ad armi pari. Un cambiamento al ribasso delle proprie legislazioni conquistate con decenni di fatica dai cittadini europei non è, indubbiamente, quello di cui questo continente ha bisogno. Le clausole dell’accordo infatti sono già malviste dalla controparte americana e, dunque, possiamo supporre siano definitive. In questo modo, però, vengono tutelate in minor parte le produzioni già avviate, ma si uccide in sostanza ogni speranza di valorizzarne di nuove. Vengono, così, distrutte le speranze di chi, faticosamente, cerca di creare un’alternativa ad un modello industriale ed economico inquinante e non rispettoso dell’ambiente valorizzando le produzioni alimentari di qualità del proprio territorio. Su tutti il caso di territori con gravissimi problemi di inquinamento che potrebbero avviarsi verso un nuovo modello di sviluppo, ma che vengono così gravemente penalizzati nell’export. In un momento in cui il valore della terra e delle produzioni serie e di elevata qualità vengono sempre più valorizzati le clausole del Ttip porrebbero un freno netto a questo percorso. Ecco perché è giusto opporsi con tutte le proprie forze fino a che la controparte nordamericana non abbia applicato gli stessi standard alimentari e dia all’alimentazione di qualità lo stesso valore che dà l’Unione Europea altrimenti si tratta, come già ribadito più volte, di un immenso cavallo di Troia.

Sources:

www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/pub/1041

www.sace.it/docs/default-source/ufficio-studi/pubblicazioni/restart—rapporto-export-2015.pdf?sfvrsn=2
www.sace.it/docs/default-source/ufficio-studi/pubblicazioni/re-action—rapporto-export-2016-2019.pdf?sfvrsn=4
www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/c%252Fa%252F0%252FD.ad4547193f7a3d0d643d/P/BLOB%3AID%3D9766/E/pdf

Antonio Caso, Federazione dei Verdi Taranto

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